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L’uso di sostanze come auto-medicazione

Il ricorso a sostanze che alterino lo stato di coscienza o che attenuino i freni inibitori costituisce un fenomeno diffuso in diverse fasce d’età e in presenza di condizioni mentali differenti. La possibilità di sviluppare dipendenza in seguito all’uso e all’abuso di sostanze quali alcol e droghe è correlato ai meccanismi cerebrali associati al “circuito della ricompensa” e al ruolo della dopamina sulle strutture cerebrali. Tuttavia da studi clinici svolti su pazienti affetti da disturbi da uso di sostanze è emersa la cosiddetta “ipotesi dell’auto-medicazione”: essa suggerisce che il nucleo delle dipendenze patologiche non sia la ricerca di piacere, “ricompensa” o auto-distruzione, come asserito da altre teorie, ma la ricerca di un sollievo a una sofferenza profonda. La vulnerabilità alla dipendenza risulta infatti maggiore in presenza di una sofferenza psicologica significativa. L’ipotesi dell’automedicazione risulta particolarmente evidente nei pazienti con doppia diagnosi di disturbo psichiatrico e disturbo da uso di sostanze.


L’ipotesi dell’automedicazione

L’ipotesi dell’automedicazione si sviluppa negli anni ’70 dalle osservazioni dello psicoanalista Edward Khantzian, il quale notò che i suoi pazienti tossicodipendenti avevano sperimentato almeno tre diverse sostanze d’abuso prima di sviluppare dipendenza da una di esse. La sostanza “prescelta” risultava non casuale, ma associata al tipo di disturbo psichiatrico latente di cui soffriva il paziente. Tale “preferenza”, più o meno consapevole, ricadeva sulla sostanza capace più delle altre di attenuare i sintomi psicopatologici presenti.

In altre parole, l’individuo suscettibile a sviluppare dipendenza, dopo aver provato diverse sostanze, scopre che ricorrere ad una particolare sostanza gli procura sollievo, attenua alcuni specifici stati emotivi dolorosi o spaventosi, e tende a preferire questa sostanza alle altre. Ad esempio, un adolescente con ansia sociale potrebbe ricorrere all’alcol per attenuare il timore di giudizio e il senso di inadeguatezza e sentirsi più disinvolto in occasione delle interazioni con i pari; un uomo con difficoltà di gestione della rabbia e dell’aggressività può ricorrere ad oppioidi per ottenere maggior senso di controllo sui propri impulsi. Allo stesso modo, una persona può avvertire alcune sostanze come “aversive” o fastidiose. Ad esempio, un soggetto con vissuti ansiosi o di rabbia può esperire l’assunzione di cocaina come spaventosa o confusiva.


L'assunzione di alcol ha un effetto sedativo sul sistema nervoso centrale. Se assunto a basse dosi produce senso di euforia e influenza la fiducia in se stessi.

Secondo questa prospettiva, dunque, la dipendenza si configura come un modo di affrontare gli stress e la sofferenza psicologica in assenza di strategie più adattive. Ovviamente, a lungo termine tali tentativi di soluzione hanno esito negativo in quanto finiscono per provocare al paziente un secondo problema, quello della tossicodipendenza.


Psicopatologia, stati emotivi e auto-medicazione

Le persone con diagnosi di disturbo psichiatrico hanno maggiore probabilità di sviluppare dipendenza da sostanze. Ad esempio, problemi di abuso di sostanze risultano frequenti in pazienti con Disturbo Post-traumatico da Stress, i quali rivivono costantemente dolorosi flashback legati alle memorie traumatiche. Non è raro che questo tipo di pazienti tentino di ridurre la propria sofferenza emotiva utilizzando sostanze d’abuso che allevino temporaneamente il loro stress.

E’ importante sottolineare che l’ipotesi dell’automedicazione riguarda la ricerca di sollievo da stati mentali ed emotivi dolorosi, che possono essere comuni a più disturbi. Perciò non esiste una specificità che leghi ciascun disturbo ad una particolare sostanza d’abuso. Inoltre, l’utilizzo di sostanze può riguardare quadri di funzionamento subsindromici, che non esitano in un franco disturbo psicopatologico.


Disturbi dell’umore

Per quanto riguarda la depressione, essa può declinarsi in diversi quadri sintomatologici. Ad esempio, in alcuni casi possono risultare predominanti i vissuti di rabbia, in altri casi sono più evidenti i sintomi ansiosi e psicomotori. Le sostanze d’abuso possono interagire con una serie di stati d’animo tipicamente associati alla depressione.

Ad esempio, gli oppioidi (morfina, ossicodone, ecc.) tendono a calmare, ridurre e contenere gli stati di rabbia. Questo risulta particolarmente evidente nei disturbi dell’umore, come il disturbo bipolare.

I sedativi (alcol, benzodiazepine, barbiturici) hanno un’azione bifasica in relazione alle dosi assunte. In quantità elevate, l’alcol attenua una serie di emozioni intense, come l’agitazione, la rabbia e l’irritabilità che spesso accompagnano la depressione. In basse quantità, i sedativi possono dare sollievo all’ansia e alla tensione associate agli stati depressivi.

Gli stimolanti (cocaina, anfetamine, ecc.) attivano e forniscono energia e vengono spesso

esperiti dal soggetto come pozioni magiche che contrastano l’anedonia tipica della depressione. Sono spesso utilizzati dai pazienti in stato ipomaniacale per aumentare l’euforia.


Le anfetamine stimolano il sistema nervoso centrale, dando un senso di benessere ed euforia, riducendo il senso di fatica e producendo un incremento dell'attenzione e della concentrazione.

Disturbi d’Ansia

Come per molti disturbi psichiatrici, i Disturbi d’Ansia sono spesso associati all’organizzazione di personalità della persona, e comportano stati di tensione, costrizione o isolamento dagli altri. Le persone con questo tipo di vissuti sono vulnerabili a sviluppare dipendenza dalle sostanze sedative, come l’alcol, che in modiche quantità consentono maggiore disinvoltura e aiutano la persona a stare in contatto con le proprie emozioni e a interagire con gli altri.

Gli stimolanti possono avere effetti simili agendo sui meccanismi inibitori del soggetto. Gli oppioidi possono placare gli stati ansiosi, ma difficilmente procurano dipendenza.


Schizofrenia

Per quanto riguarda le interazioni delle sostanze d’abuso sui sintomi della schizofrenia, occorre fare una distinzione. I sintomi positivi (paranoia, allucinazioni, deliri, agitazione psicomotoria, ecc.) possono essere attenuati dagli oppoidi per via delle proprietà calmanti, che hanno effetto specialmente sull’aggressività e gli stati di rabbia spesso associati al disturbo schizofrenico. Tuttavia, salvo in rari casi, i pazienti schizofrenici non hanno molte possibilità di ottenere oppioidi in quanto i livelli di disorganizzazione cognitiva e comportamentale impediscono loro di negoziare e trattare per procurarseli.

L’alcol è una sostanza più facilmente reperibile e i pazienti schizofrenici tendono a farne ampio utilizzo. In dosi massicce, l’alcol attenua le allucinazioni uditive, i deliri, l’agitazione e la rabbia dei pazienti.

I sintomi negativi (alogia, appiattimento emotivo, anedonia, apatia, deficit attentivi, ecc.) risultano maggiormente associati allo sviluppo di dipendenza tra i pazienti schizofrenici, specialmente se si considera anche la dipendenza da nicotina. In parte questo è il risultato del fatto che i sintomi negativi sono un fenomeno residuale della fase acuta della schizofrenia, quando il paziente tende a essere ancora troppo disorganizzato per procurarsi le sostanze d’abuso. Tuttavia i sintomi negativi sono caratterizzati da enorme sofferenza per il paziente, il quale tende a cercare sostanze che allevino almeno in parte e transitoriamente il dolore.

Emerge uno cospicuo utilizzo di stimolanti da parte di pazienti affetti da schizofrenia. Un dato simile può sorprendere, se si considerano le proprietà psicofarmacologiche degli stimolanti. Ma in realtà i pazienti traggono sollievo dall’anedonia e dagli altri sintomi negativi con l’assunzione di stimolanti, inclusa la nicotina. Allo stesso modo, basse dosi di alcol contrastano i sintomi negativi come la chiusura sociale e il senso di alienazione di questi pazienti.


Disturbo Post-Traumatico da Stress

I soggetti affetti da Disturbo Post-traumatico da Stress (PTSD) presentano stati emotivi intensi e stressanti che hanno carattere soverchiante e doloroso, oppure possono presentare intorpidimento affettivo che può risultare estraniante e alienante. Entrambi gli estremi sono dolorosi e compromettenti per il funzionamento dell’individuo. L’incidenza delle dipendenze tra i pazienti con PTSD è molto elevata. Quando il paziente si sente sopraffatto da emozioni intense come rabbia, agitazione o stati di frammentazione, sostanze come gli oppioidi o l’alcol vengono esperite come potenti antidoti per tali condizioni affettive e cognitive.

Tuttavia, nel caso in cui la sintomatologia prevalente sia di ottundimento affettivo, il paziente tende a percepirsi chiuso in se stesso o emotivamente morto. In tale condizione, moderate dosi di alcol procurano al paziente una riduzione del senso di limitazione e isolamento.

Infine, gli stimolanti come la cocaina possono fornire al paziente marcato sollievo dai sintomi negativi di anedonia, apatia e appiattimento affettivo che accompagnano il PTSD. In ogni caso l’aggancio con la sostanza d’abuso trova il suo significato se contestualizzato nel quadro della specifica sofferenza emotiva del paziente.


La cocaina può accentuare il senso di reattività e resistenza alla fatica, produce uno stato di euforia e aumenta la socievolezza. A lungo termine può provocare irritabilità, stati d'ansia e depressione


Conclusioni

La droga “prescelta” dal paziente può essere un indizio importante per comprendere le emozioni dolorose con cui si trova a contatto e che lo hanno condotto alla dipendenza. Nel caso di pazienti con doppia diagnosi, la specifica sofferenza psicologica può essere un segnale del tipo particolare di sostanza che ricercherà preferenzialmente per auto-medicare il dolore. Tale prospettiva è utile al clinico per identificare e affrontare le emozioni dolorose predominanti, e il rischio di dipendenza da una sostanza specifica. Infine l’ipotesi dell’auto-medicazione applicata ai pazienti con doppia diagnosi risulta utile nella pianificazione del trattamento psicoterapico e psicofarmacologico. Una volta identificato il meccanismo di auto-medicazione, infatti, il clinico può condurre il paziente all’assunzione controllata di farmaci specifici che agiscono direttamente sul problema sottostante all’uso di sostanze: ad esempio, la depressione può essere efficacemente trattata con farmaci antidepressivi, liberando l’individuo dalla ricerca di sollievo che mantiene la sua dipendenza.




Dott.ssa Serena Tomassetti



Bibliografia

Albanese M.J. (2003), The Self-Medication Hypothesis: Epidemiology, Clinical Findings and Implications, «Psychiatric Times», vol. 20(4), pp. 57-64.


Khantzian E.J. (2003), The self-medication hypothesis revisited: the dually diagnosed patient, «Primary Psychiatry», vol. 10(9), pp. 47-54.


Khantzian E.J. (1997), The self-medication hypothesis of substance use disorders: A reconsideration and recent applications, «Harvard Review Psychiatry», vol. 4, pp. 231–244.

 
 
 

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