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Adolescenti e Social Network: i rischi delle Challenge e il ruolo dei genitori

L’ultimo decennio ha segnato un progresso tecnologico mai visto prima, considerando l’impatto dei dispositivi sulla vita di adulti e ragazzi. La sfida di genitori, insegnanti e terapeuti è proprio quella di comprendere il ruolo della tecnologia nella vita dei nostri bambini e adolescenti. Ruolo non semplice, specialmente a causa del gap generazionale che a volte si traduce in pregiudizi, altre volte in paura, dettata spesso dal non conoscere effettivamente i contenuti a cui i ragazzi hanno accesso tramite gli smartphone e altri dispositivi.


Adolescenti "iperconnessi"

La quasi totalità dei bambini possiede uno smartphone a partire dai 10 anni di età. L’utilizzo si fa più intenso con l’ingresso nell’età adolescenziale, periodo durante il quale i ragazzi trascorrono in media dalle 3 alle 6 ore al giorno connessi. Si parla spesso di iperconnessione, sottolineando in particolar modo le sfumature negative di questo fenomeno. I genitori tendono ad associare quasi automaticamente l’intenso utilizzo del cellulare alle difficoltà scolastiche o comportamentali dei ragazzi, trascurando completamente la funzione sociale svolta dai dispositivi tecnologici. E’ qui che il gap si fa sentire maggiormente: non si tratta di mentalità all’antica o metodi educativi vecchio stampo, ciò che emerge è la difficoltà di capire e concepire in che misura la dimensione di socialità e condivisione sia cambiata dalla generazione delle mamme e dei papà a quella dei nostri millennials. Di conseguenza, il focus dei genitori è, ovviamente, sui possibili pericoli che si nascondono sui social network o nelle interazioni “virtuali” dei ragazzi. Tuttavia il nostro tentativo deve essere quello di entrare metaforicamente in questo nuovo mondo, fatto di like, follower e musers, comprendere l’attenzione al giudizio altrui e all’immagine personale, vedere l’importanza che ha per alcuni dei nostri ragazzi essere qualcuno anche online per poter sentire di esistere. Per fare ciò, il primo passo è informarsi, leggere e aggiornarsi rispetto alle app e i social network “di tendenza”, sia per conoscere il tipo di attività che i ragazzi svolgono online, sia per permettere una comunicazione adeguata con loro, fatta di termini e neologismi che dobbiamo imparare a comprendere.

I ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo sulle chat, come WhatsApp. La chat può avere diverse funzioni, come quella di scambiare i compiti attraverso il gruppo-classe, o anche quella di fare videochiamate social (in più di due persone).

Attualmente tuttavia il social network più utilizzato dagli adolescenti è Instagram, che permette la condivisione di foto e video, e l’utilizzo di un servizio di messaggistica. Risulta molto diffuso tra gli adolescenti il fenomeno del Vamping, ossia la tendenza a trascorrere diverse ore notturne sui social media, a parlare o giocare con gli amici.


Utilizzo dei social media nelle ore notturne

Sebbene la maggior parte dei ragazzi ammetta di aver fatto le ore piccole in questo modo, occorre monitorare la frequenza di questo comportamento in quanto potrebbe determinare condizioni di insonnia, ridurre le capacità di concentrazione e attenzione e avere perciò una ricaduta sul rendimento scolastico e sul comportamento del ragazzo. Intaccando la qualità del sonno, l’utilizzo dei dispositivi elettronici durante la notte può influenzare negativamente anche l’umore e determinare stati d’ansia o irritabilità.

Anche se si può parlare di “dipendenza” in un numero limitato di casi, ciò che si sta osservando è che i social network convogliano la naturale attenzione degli adolescenti al giudizio altrui: la tendenza a desiderare e ricercare l’approvazione dell’altro spinge i ragazzi a un impegno costante nel dare una certa immagine di sé, il più possibile vicina a quella ritenuta ideale e socialmente apprezzabile.


L'esigenza di riconoscimento sociale passa dai social media

La valutazione tramite i like scatena a livello cerebrale una pioggia di neurotrasmettitori che stimolano le aree relative al circuito della ricompensa. La dopamina, in particolare, è una sostanza coinvolta in questo meccanismo, che è lo stesso alla base di ogni tipo di dipendenza. L’assenza della risposta attesa a livello di like a una foto pubblicata può determinare stati d’ansia, rabbia o crolli umorali. L’autostima, particolarmente fragile e in via di costruzione a quest’età, dipende in gran parte dal punteggio social che si riesce ad ottenere.


Il bisogno di apparire ad ogni costo si scontra con il concetto di privacy e di intimità, che ormai ha assunto confini molto più relativi e flessibili.

Altro aspetto da monitorare, da parte dei genitori, consiste nell’utilizzo delle challenge online, fenomeno che si è diffuso in modo particolare nell’ultimo anno. Si tratta di sfide social che giungono all’attenzione del bambino o del ragazzo attraverso video su YouTube, link o tag, in cui viene richiesto di imitare ciò che si vede nel video o nell’immagine postata. Le challenge si diffondono sul web come le vecchie catene di Sant’Antonio, ma con una velocità moltiplicata per via del maggior numero di utenti raggiunti con un singolo post. Alcune di queste sfide sono del tutto innocue, come la Bottle Flip Challenge, che consiste nel far ruotare in aria una bottiglietta per farla atterrare perfettamente in equilibrio.

Purtroppo esistono numerose sfide social non altrettanto innocue, che mettono a repentaglio la sicurezza dei nostri ragazzi. E’ bene che genitori, insegnanti e terapeuti siano a conoscenza delle challenge più diffuse, in modo da monitorare il comportamento dei ragazzi e prevenire brutti incidenti. Molte challenge, ad esempio, prevedono l’ingestione di grandi quantità di alcol in pochissimo tempo, che spesso conducono gli utenti all’intossicazione alcolica. Tali sfide risultano potenzialmente più dannose quando vengono eseguite in luoghi pericolosi, come strade trafficate o altezze elevate.

Un’altra challenge molto diffusa e che purtroppo ha già mietuto le prime vittime è la Fire Challenge, che circola in diverse varianti. Una di esse consiste nello spruzzare un getto di profumo o deodorante sulla fiamma accesa di un accendino, generando una fiammata di grandi dimensioni. In altre varianti, i ragazzi vengono incoraggiati a versare liquidi infiammabili sul proprio corpo per poi poi darsi fuoco e spegnere le fiamme sotto il getto della doccia, con esiti a volte nefasti.

Ultimamente un’altra sfida che esponeva i ragazzi a grande pericolo è stata la Bird Box Challenge, che ha preso spunto dall’omonimo film. Da qui la sfida a bendarsi e muoversi negli spazi circostanti senza la possibilità di vedere. Alcuni utenti hanno pubblicato video di sé, bendati, alla guida dell’auto, esponendo sé stessi e gli altri a una serie di pericoli.

A queste si aggiungono le sfide legate alla magrezza e che possono indurre le ragazzine a perseguire ideali estetici irraggiungibili, spesso contribuendo ad innescare veri e propri disturbi alimentari. Queste sfide in particolare riguardano il raggiungimento di caratteristiche fisiche tipiche della magrezza estrema: Thigh Gap (arco tra le gambe), Bikini Bridge (ponte nel costume da bagno sulla pancia), Sfida della clavicola, Belly Slot (fessura nella pancia) e Belly Button (far girare il braccio dietro la schiena fino a toccarsi l’ombelico).


La Belly Button Challenge e la diffusione di ideali estetici irraggiungibili

Altre sfide su larga scala riguardano ad esempio la diffusione di immagini spaventose e disturbanti, come la famosa immagine di Momo, che ha innescato un vero e proprio allarmismo. La foto ritrae in realtà una scultura giapponese esposta in una mostra. Il clamore attorno alla vicenda è dovuto all’idea che il fenomeno possa spingere bambini e ragazzi all’autolesionismo e al suicidio, ma le indagini condotte hanno rilevano che si è trattato di una bufala, caratterizzata da dinamiche simili a quelle della Blue Whale Challenge di cui si è parlato molto negli anni scorsi.

Alla luce degli esiti dannosi di molte di queste Challenge, la piattaforma YouTube ha preso posizione vietando l’advertising e la monetizzazione per i video contenenti sfide social potenzialmente pericolose. In questo modo il fenomeno viene contrastato, disincentivando la condivisione di contenuti che possano influenzare negativamente le menti degli utenti più a rischio.

Sono noti da tempo gli effetti del modeling sul comportamento di bambini e adolescenti. La tendenza innata all’imitazione può essere portata all’estremo dall’esigenza di superare e superarsi, dal desiderio di piacere e ottenere stima e approvazione sociale. Questo può condurre a mettere in secondo piano la propria incolumità, specialmente in una fase di vita come l’adolescenza, in cui i livelli di impulsività sono tendenzialmente molto elevati.

Qual è il ruolo degli adulti? Innanzitutto è importante non sottovalutare l’influenza dei media su bambini e ragazzi. Fino alla pre-adolescenza è possibile avvalersi di programmi appositi che filtrino i contenuti a cui i bambini possono avere accesso. Il controllo tuttavia non va delegato completamente ai sistemi di filtraggio, ma andrebbe condotto tramite un’educazione attiva all’utilizzo dei social media, attraverso una buona comunicazione e una buona condivisione con i ragazzi. Ad esempio, i bambini vanno istruiti fin da subito a non condividere informazioni personali in rete o avere contatti con persone sconosciute, spiegando le possibili conseguenze che possono verificarsi. Demonizzare i social media o vietarne l’utilizzo risulta controproducente, sarebbe come cercare di fermare una valanga con un dito, dal momento che i bambini vengono comunque in contatto con il mondo social attraverso gli smartphone degli amici o i loro racconti.

Per quanto riguarda gli adolescenti, un controllo stretto dei dispositivi elettronici è da evitare: considerando l'aumentata esigenza di privacy e di spazi personali e la ricerca di un'identità distinta e indipendente dal nucleo familiare, ogni tentativo eccessivo di controllo verrebbe percepito come segno di invasione e mancanza di fiducia. Ciò che i genitori possono fare è notare eventuali cambiamenti nel comportamento dei figli e preservare il più possibile un canale di comunicazione in cui i ragazzi possano sentirsi accolti e non giudicati, in modo da favorire la condivisione di eventuali fenomeni che stanno coinvolgendo coetanei e compagni di classe. E' bene ricordare che i contenuti in circolazione non sono di per sé la causa dei comportamenti devianti o a rischio, ma possono contribuire a esacerbare eventuali fattori di rischio già presenti, come ad esempio la mancanza di una rete sociale percepita come supportiva o la presenza di aspetti psicopatologici come disturbi dell'umore o disturbi d'ansia. Gli adulti che affiancano bambini e adolescenti nel percorso di crescita possono dunque prevenire e comprendere il ruolo che l'esposizione ai social media può svolgere nell’incoraggiare e modellare condotte potenzialmente dannose, in un'ottica di sostegno e cura non giudicante, che tenga conto dei cambiamenti degli scambi sociali del nuovo millennio.


Dott.ssa Serena Tomassetti

 
 
 

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